Sicurezza sul lavoro: pregi e rischi della web-formazione

8 agosto 2012. In aumento le aziende italiane che fanno riferimento alle modalità di comunicazione dell’Itc – dall’e-learning alle ‘aule virtuali’ – per la qualificazione dei propri lavoratori. Se queste tecnologie possono garantire ottimizzazione dei costi e flessibilità, tuttavia è bene fare attenzione a un mercato dove l’offerta non è sempre sinonimo di qualità.

Sul sito dell’Inail è apparso un articolo che tratta questo argomento e contiene alcune mie riflessioni rilasciate all’amico articolista.

Approfondisci

Le Tecnologie Infomatiche a supporto della diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro

 di Francesco Naviglio[1]

  1. 1.      Premessa

L’accordo Stato Regione del 21 dicembre 2011 ha ampliato, anche in numero sostanziale, il numero dei soggetti da sottoporre a processi di formazione obbligatoria e il monte ore dei corsi di formazione che devono essere frequentati dagli stessi. Il numero di ore previste si differenzia secondo il tipo di rischio a cui i lavoratori sono esposti.

Tale previsione comporta la necessità, per tutte le aziende italiane, di prevedere un programma formativo adeguato a corrispondere alle prescrizioni dettate dalla legge ma, per alcune, crea delle criticità organizzative derivanti dal numero dei dipendenti da sottoporre a formazione e dalla loro dislocazione sul territorio nazionale che, a volte, si estende anche all’estero. Continua a leggere

Presentazione del Rapporto Aifos 2010

Il video della presentazione del Rapporto Aifos 2010 avvenuta il 1° dicembre 2010 a Roma presso la Sala delle Colonne di Palazzo Marini.

Il Video della presentazione del Rapporto Aifos 2010

La tempesta perfetta, ovvero…..l’insensibilità e cinismo del contabile!

di Francesco Naviglio [1]

Dopo una apparente calma dei mercati internazionali, durata pochi mesi, all’improvviso si è scatenata una nuova tempesta le cui cause e finalità mi sono oscure ma certamente penso siano dettate dalla speculazione di grossi gruppi internazionali che guidano le sorti dell’economia e della politica mondiale.

Tutto è successo all’improvviso a fine maggio e nel giro di pochi giorni si sono riuniti i massimi vertici, politici ed economici, dei paesi europei che hanno immediatamente preso drastiche misure, sembra, per contenere i disavanzi dei paesi europei e avviare il risanamento dei loro conti pubblici. Continua a leggere

I miei video preferiti

Le “HAKA” Maori

Nel suo libro “Maori Games and Haka”, lo studioso Alan Armstrong descrive la Haka così:

“La Haka è una composizione suonata con molti strumenti. Mani, piedi, gambe, corpo, voce, lingua, occhi… tutti giocano la loro parte nel portare insieme a compimento la sfida, il benvenuto, l’esultanza, o il disprezzo contenute nelle parole. È disciplinata, eppure emozionale. Più di ogni altro aspetto della cultura Maori, questa complessa danza è l’espressione della passione, del vigore e dell’identità della razza. È, al suo meglio, un messaggio dell’anima espresso attraverso le parole e gli atteggiamenti.”

È dunque una danza che esprime il sentimento interiore di chi la esegue, e può avere molteplici significati. Non si tratta, infatti, solo di una danza di guerra o intimidatoria, come è spesso erroneamente considerata, ma può voler anche essere una manifestazione di gioia, di dolore, una via di espressione libera che lascia a chi la esegue momenti di libertà nei movimenti.

È comunque un rituale che cerca di impressionare, come si può ben vedere dall’esibizione degli All Blacks: si roteano e si spalancano gli occhi, si digrignano i denti, si mostra la lingua, ci si batte violentemente il petto e gli avambracci, si dà quindi un saggio di potenza e coraggio, che si ricollega allo spirito guerriero dei Maori.

Può forse servirci per ridarci una “dosata” aggressività nella società?

Accordo Provincia di Roma, Inail Regione Lazio e Aifos

Lo scorso 16 dicembre è stato sottoscritto a Roma, nel corso di una conferenza stampa di presentazione, l’accordo per la realizzazione del progetto Scuola Sicura che prevede lo sviluppo nel biennio delle attività formative nelle scuole della provincia di Roma.

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Lettera a Pietro Ichino

Castegnato, lì 11 agosto 2008                                                       

 Prof. Pietro Ichino

Corriere della Sera

Ho letto con estremo interesse  il suo articolo dello scorso 9 agosto sul Corriere della Sera nel quale è tornato sull’argomento dell’efficienza della P.A. affrontandolo, a mio parere, in modo costruttivo e propositivo.

Costruttivo in quanto, superato il suo stupore iniziale di un anno fa determinato dal numero dei dipendenti pubblici favorevoli alle sue tesi, sostiene che la cura Brunetta, a cui ho inviato una nota alcuni giorni fa, debba dare una prospettiva immediata e concreta “facendo un’alleanza con la parte migliore dei  dipendenti pubblici, con quelli che oggi tengono in piedi la baracca “. Continua a leggere

La SSPA di Caserta

Nel 1991, dopo lunghe e complesse esperienze e trattative, sono riuscito a vincere il corso-concorso per essere ammesso alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione a Caserta.

12 mesi di corso, 8 ore al giorno di aula, tre mesi di stage presso la STET, la realizzazione di una tesi e un esame finale composto da tre prove scritte, e un colloquio in cui esporre i conteuti della tesi oltre ad essere valutato da una commissione di 5 esperti, dirigenti pubblici e privati.

Sono le cifre di cosa è significato per me e molti altri dirigenti pubblici frequentare la scuola prima di essere nominati dirigenti. Tutto questo dopo due corsi di laurea, 18 anni di servizio, due concorsi pubblici superati, oltre 15 anni di guida di strutture organizzative con gestione di budget e risorse umane.

Tutto bene se fosse servito ad acquisire visibilità e meriti nei successivi percorsi di carriera. Niente di tutto ciò, anzi a volte la frequenza della scuola è stata vista addirittura come un ostacolo, quasi una perdita di tempo. La scuola stessa non ha ritenuto utile nè necessario valorizzare i suoi allievi e instaurare con loro un legame nel tempo fatto di aggiornamenti e sinergie.

Nei percorsi di carriera i dirigenti usciti dalla SSPA, a differenza di altre pubbliche amministrazioni estere, sono stati valutati senza alcun punto aggiuntivo e spesso hanno visto assegnare posizioni organizzative di rilievo a “illustri” sconosciuti i cui titoli erano costituiti da “appartenenze” di vario tipo.

Tutto ciò potrebbe andare bene ed essere naturale se uno dei dibattiti che oggi vanno per la maggiore non sia costituito dalla ricerca di “meritocrazia” nella società italiana ed in particolare nel mondo della pubblica amministrazione.

La tesi discussa a Caserta nel 1992 tratta questi argomenti che, purtroppo, ad oggi sono in gran parte rimasti irrisolti.

 

 

Lettera a Brunetta

 

11 giugno 1991: è una data di per sé senza particolari significati che ci riporta lontano nel tempo (17 anni fa!) da cui ci separano anni luce in termini di progreso tecnologico, evoluzione sociale, economica e politica sia in Italia che nel mondo.

Quella data, tuttavia, mi ricorda il giorno in cui ho avuto l’occasione d’incontrarLa nel corso di un convegno che io stesso avevo organizzato per conto della Unione Italiana del Lavoro in qualità di responsabile nazionale della dirigenza pubblica.

Il titolo di quel convegno era “Da Burocrate a Manager” e il tema specifico della giornata era “Rapporto di lavoro e responsabilità dei dirigenti pubblici”. Tra gli interventi previsti, oltre a Lei, c’era Remo Gaspari che era l’allora Ministro della Funzione Pubblica e Sabino Cassese all’epoca responsabile di un progetto CNR sulla pubblica amministrazione.

Non so se queste poche righe Le hanno permesso di ricordare l’evento ed il contesto in cui si svolgeva il Convegno, contesto di grande attenzione verso la pubblica amministrazione e la sua dirigenza in pieno governo di centro sinistra (Andreotti/Amato) che avrebbe approvato il Decreto Legislativo 29 del 3 febbraio 1993 a suo tempo identificata e “contrabbandata” come legge di riforma della dirigenza pubblica.

La sua nomina a Ministro della Pubblica Amministrazionee l’Innovazione mi indotto a rileggere le trascrizioni di quel convegno ed in particolare il Suo intervento che ha avuto un taglio decisamente fuori dal coro comprese alcune proposte, riguardo alla pubblica amministrazione e alla dirigenza pubblica, che sicuramente possono considerarsi in linea con quanto da Lei rappresentato in questo periodo iniziale della Sua avventura governativa.

Un passaggio mi sembra particolarmente interessante, allora come oggi, di quanto da Lei detto:

“…..che fare quindi? Dicevo prima delegificare e non inserirsi ancora una volta nella vecchia strada del cambiare un sistema di leggi o di normative con altre leggi e normative. Non abbiamo le risorse (le risorse culturali, le risorse fisiche, le risorse del capitale umano) per avere una garanzia che una nuova norma, un nuovo sistema regolativo possa essere efficiente. Chi ce la dà? Nessuno!

Vale la pena di perdere uno, due, tre anni di dibattiti? Vale la pena di essere presi in giro con questi giochi?

Farò un esercizio, se mi consentite, insieme a voi. Facciamo finta che non ci sia alcuna norma in discussione, facciamo finta di avere le regole date. Come cambiare senza modificare le regole? Perché o eliminiamo totalmente le regole (questa è una opzione, quella referendaria) oppure manteniamo le regole. Io sono del tutto convinto che un miglioramento della qualità, di efficienza del sistema potrebbe avvenire tranquillamente con tutto il sistema di regole che è già vigente…..”

Ministro Brunetta, penso che a distanza di 17 anni quanto detto sia ancora crudelmente, tristemente, realmente vero anche se nel frattempo si sono succeduti governi di tutti i colori politici che hanno, ciascuno a modo suo, legiferato su tale materia e, cosa veramente meschina, addossato gran parte delle colpe dei mali italiani ad una fantomatica ed impalpabile “Pubblica Amministrazione” preda di fannulloni.

Come è possibile che da diversi decenni quasi tutti coloro che occupano posizioni di governo appena insediati sentono l’obbligo, quasi morale, di addossare parte delle colpe della disastrosa situazione nazionale ai dipendenti pubblici? Possiamo accettare, senza condividere, che tali critiche vengano dalla parte dei datori di lavoro e dalle organizzazioni dei cittadini e dei lavoratori ma che provengano proprio da coloro che sono i diretti gestori nonché responsabili del funzionamento della Pubblica Amministrazione appare veramente incredibile, nonché tipicamente italiano!

Qualcuno si è mai chiesto quale effetto demotivante e frustrante produce questa continua critica nei confronti dei dipendenti pubblici messi all’angolo dalla opinione pubblica mediante tutti gli strumenti mediatici disponibili; quale conseguenze hanno sull’efficienza della pubblica amministrazione simili campagne denigratorie nei confronti di circa 3.5 milioni di concittadini che, considerate le famiglie, rappresentano quasi il 14% della popolazione e che vengono considerati i “paria” dell’economia italiana?

E’ dal 1973 che lavoro nella Pubblica Amministrazione, sono figlio di dipendenti pubblici che già dovevano affrontare ai loro tempi questi pregiudizi, ho percorso la mia carriera esclusivamente all’interno della Pubblica Amministrazione passando per la Scuola Superiore di Caserta (Corso- Concorso dirigenziale) e operando nell’ambito di diversi enti pubblici. Mi considero un “Civil Servant”.

Io, come molti altri pubblici dipendenti, sopportiamo da sempre, a volte con rassegnazione, tutto ciò che si dice di noi e ci chiediamo continuamente: finirà mai questa “persecuzione”? Perché di questo si tratta.

Sono nato e attualmente lavoro a Roma ma risiedo in una città del nord! A volte cerco di evitare di dire che lavoro nella pubblica amministrazione per non dover iniziare un lungo e defaticante dibattito sulle inefficienze, i fannulloni, i costi della Pubblica Amministrazione e così via….magari con chi non brilla in fatto di etica morale e di senso civico.

Visti i risultati che negli ultimi decenni hanno conseguito su questo argomento i ministri della Funzione Pubblica o, come attualmente denominato, della Pubblica Amministrazione e Innovazione che l’hanno preceduta viene da ritenere che evidentemente la strada percorsa non è stata la più idonea oppure che si è sbagliato l’obiettivo della riforma. Eppure i nomi dei precedenti ministri sono stati, in alcuni casi, di alto livello peraltro universalmente riconosciuto: tre per tutti Massimo Severo Giannini, Sabino Cassese e Franco Bassanini.

Per focalizzare ancora meglio il mio pensiero vorrei evidenziare un altro passaggio del suo intervento al convegno dell’11 giugno 2008:

 “….lo ripropongo, perché non si reagisce da un punto di vista sindacale, ma non solo sindacale, ai criteri, alle modalità, alla qualità e alla quantità delle nomine dei dirigenti generali effettuate dal Consiglio dei Ministri. Io ho proposto a suo tempo una ricerca, che è quella di prendere gli atti che sono pubblici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, individuare tutti i dirigenti generali nominati, verificarne i curricula, pubblicare i curricula e operare di conseguenza. Ne nomineranno centinaia all’anno probabilmente, forse anche meno, bene si prendano gli ultimi cinque anni, nomi e cognomi, ministri e proponenti, curricula……. Partiamo dalla testa, il pesce puzza dalla testa, partiamo da lì. Io alcune esperienze le ho avute, non dico che tutti i dirigenti generali non fossero senza requisiti, io credo che il 90% fosse senza requisiti. La legge è chiara, anche se generica ma è chiara…”

Ministro Brunetta è ancora convinto, se non in tutto, almeno in parte di quanto affermato 17 anni fa? Sarebbe un grosso sollievo, non solo per me, se la risposta fosse affermativa.

Sarà ormai tempo, ritengo, di mettere fine a questa annosa discussione sull’efficienza della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti ma, se mi consente, sarà necessario anche cambiare l’approccio, proprio secondo quanto indicato da Lei 17 anni fa!

Sono un dirigente pubblico ma non esito a sostenere che le prime mosse da fare sono verso la classe dirigenziale, verso i metodi di selezione e di progressione nella carriera, verso la definizione di un concreto, obiettivo e reale sistema di valutazione delle professionalità e delle prestazioni.

D’accordo su quanto da Lei proposto circa la pubblicazione dei curricula dei dirigenti generali nominati nell’ultimo quinquennio, ma accompagnata dalle valutazioni che hanno giustificato tali incarichi: potremo avere una ulteriore, agghiacciante prova della creatività italica!

Ma a parte tale “esercizio” speculativo ritengo necessario, e spero che Lei condivida ancora tale impostazione, partire ..” dalla testa, il pesce puzza dalla testa, partiamo da lì.” avviando immediatamente una rivisitazione dei metodi di gestione delle carriere dei dirigenti di 1a e 2a fascia impostando, oseri dire “imponendo”, un sistema di valutazione che lasci ridotti spazi di valutazione soggettiva a chicchessia e privilegi professionalità, competenze e performances documentate oltre che degne di essere prese in considerazione.

Se, come a suo tempo auspicato, si vuole far transitare la dirigenza pubblica da uno status di “burocrate” ad una identità di tipo “manageriale” che sia, tra l’altro, capace di identificarsi e cautelarsi all’interno di una categoria professionale sarà utile approntare una serie di strumenti legislativi e culturali che delineino una figura di dirigente pubblico di stampo europeo geloso della propria autonomia e fiero della sua professionalità.

Ciò potrà permettere che tutta la dirigenza pubblica italiana si affranchi una volta per tutte da una sorta di necessità di “apparentamento” a gruppi di pressione e/o lobby che da sempre condizionano e determinano all’interno della pubblica amministrazione comportamenti, scelte e normative, processi produttivi, modelli e progressioni di carriera.

Ritengo che su tale prospettiva di lavoro gran parte della dirigenza pubblica italiana sarebbe al suo fianco.

Tale scenario metterebbe fine a quel triste e umiliante pellegrinaggio di parte della dirigenza pubblica verso le corti dei “punti di riferimento” del momento che, utilizzando il loro transitorio potere, ne determinano una sorta di sudditanza psicologica mediante promesse e richieste di “fidelizzazione” che mal si attagliano ad una funzione dirigenziale al servizio del paese.

Sarebbe anche un utile strumento per mettere in grado i dirigenti di garantire efficienza ed efficacia delle strutture pubbliche, invitando a partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica o, altrimenti, a lasciare il posto di lavoro ad altri, quei “fannulloni”, a Lei tanto cari ma che quasi sempre risultano “intoccabili” essendo espressioni, ed in quanto tali sotto tutela, di determinati gruppi di varia estrazione.

Qualche tempo fa l’AD di Fiat Sergio Marchionne, persona certamente da stimare e rispettare per ciò che sta realizzando, ha tenuto una Lectio Magistralis al Politecnico di Torino in occasione del conferimento della laurea Honoris Causa. Nel corso del suo intervento ha citato il contenuto di una lettera inviata ai membri del Comitato di Gestione di Fiat Group Automobiles per ringraziali del lavoro fatto nei due anni precedenti.

Uno dei passaggi che più mi ha colpito è quello che, indicando nella cultura di un gruppo la vera essenza della vita sia dell’azienda in cui opera che del gruppo stesso, cita un aspetto della cultura Zulù;

“… tra gli indigeni dell’africa subsahariana è diffuso lo spirito “ubuntu”. Questa parola fa parte di una frase più lunga, “umuntu ngumuntu nagabantu”, che tradotto letteralmente dallo Zulu vuol dire “una persona è una persona grazie agli altri”. Quando tu ti muovi in questo ambiente, la tua identità, quello che sei come persona, deriva dal fatto che sei visto e riconosciuto come una persona dagli altri. Questo si riflette nel modo in cui le persone si salutano. L’equivalente di “salve” è sawubona che letteralmente significa “ti vedo”. La risposta è sikhoma, “sono quì”.

Quello che è importante nello scambio di saluti è che non esisti fino a quando non sei riconosciuto….”

Se dovessimo adottare tale filosofia come potranno essere riconosciuti dal resto dei cittadini i dipendenti pubblici (14% della popolazione) se si continua a denigrarli con minacce di licenziamento o di altre azioni repressive senza avviare una opera di rifondazione della loro immagine, di riconoscimento reale della loro professionalità e della lealtà che tanti dipendenti pubblici dedicano al proprio lavoro con spirito di servizio verso lo stato e la cittadinanza?

Ritengo che una vera riforma della pubblica amministrazione non possa prescindere dal ridare al dipendente pubblico lo “spirito ubuntu” che Marchionne è riuscito a far rinascere tra i collaboratori di Fiat Automobili, con i risultati che tutti conosciamo.

Utopia? Non credo Signor Ministro. Serve solo una sana coerenza tra dichiarazioni e fatti concreti evitando di inquadrare nel mirino falsi e populisti obiettivi ben sapendo che il vero bersaglio da colpire, per il bene dello stato, è un altro.

Nel dichiarami a sua disposizione nel caso gradisse approfondire ulteriormente il mio pensiero, colgo l’occasione per augurarle un proficuo lavoro.

Con cordialità

Francesco Naviglio