A proposito di sicurezza sul lavoro, semplificazione ed e-learning

Si parla sempre più di semplificazione dell’attività legislativa ed amministrativa per aiutare il cittadino e l’imprenditore ad affrontare con fiducia il difficile momento economico che sta attraversando l’Italia. Tale orientamento, invece, sembra non essere preso in considerazione nel campo della prevenzione e sicurezza sul lavoro.

In primo luogo si osserva che la normativa sulla sicurezza sul lavoro prevede che, trattandosi di legislazione concorrente, l’intera materia ed i relativi provvedimenti siano discussi all’interno della Conferenza Stato-Regioni e ciò comporta un notevole allungamento dei tempi di approvazione delle singole iniziative.

Non basta. Una volta che i provvedimenti vengono rilasciati dalla Conferenza le singole regioni devono a loro volta recepirli per renderli esecutivi all’interno dei territori di competenza: è qui che la semplificazione perde significato e si attua quello che chiamo “la balcanizzazione della sicurezza sul lavoro italiana”. Ogni regione, infatti, negli atti di recepimento impone una sua visione e interpretazione del provvedimento emanando regolamenti e indirizzi che, sebbene non previsti, danno alla materia una connotazione ed una esecutività differente da regione a regione.

Tutto ciò dopo che le stesse regioni, in sede ministeriale, hanno insieme discusso, analizzato, dibattuto ed approvato in modo unanime il documento originario. Non si può non convenire che l’intero procedimento abbia tratti di notevole originalità.

Fortunatamente la revisione del Titolo V della Costituzione Italiana dovrebbe porre rimedio a tale incongruenza riportando l’intera materia all’interno della legislazione esclusiva dello Stato.

Tutto ciò, purtroppo, potrebbe non risolvere il problema relativo all’utilizzo delle modalità formative in tema di salute e sicurezza del lavoro tramite l’e-learning.

È questo un altro aspetto contradditorio della realtà italiana.

Da più parti si sottolinea la nostra arretratezza in tema di sviluppo delle tecnologie informatiche, quelle che gli esperti chiamano “digital device”.

Wikipedia informa che “…Il digital divide, o divario digitale[1], è il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione (in particolare personal computer e internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale. I motivi di esclusione comprendono diverse variabili: condizioni economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età o di sesso, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica[2]. Oltre a indicare il divario nell’accesso reale alle tecnologie, la definizione include anche disparità nell’acquisizione di risorse o capacità necessarie a partecipare alla società dell’informazione….”

Tenendo presente questa premessa, leggiamo cosa dice sempre Wikipedia in merito all’e-learning che indica come “…Per e-learning (o apprendimento on-line, o teleapprendimento) s’intende l’uso delle tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell’apprendimento facilitando l’accesso alle risorse e ai servizi, così come anche agli scambi in remoto e alla collaborazione (creazione di comunità virtuali di apprendimento). [1]

progetti educativi di molte istituzioni propongono la teledidattica non solo come complemento alla formazione in presenza ma anche come percorso didattico rivolto ad utenti aventi difficoltà di frequenza in presenza. Attraverso la teledidattica si facilita la formazione continua e quella aziendale, specialmente per le organizzazioni con una pluralità di sedi….”

Partendo da queste considerazioni vorrei commentare l’interpello n. 12/2014 con cui la Commissione per gli Interpelli del Ministero del Lavoro ha risposto ad un quesito in merito alle modalità di effettuazione della verifica finale di un corso di formazione base per lavoratori (4 ore iniziali) effettuata in modalità e-learning.

Doverosa premessa è che la formazione tramite e-learning è stata da sempre osteggiata e negata nell’ambito della sicurezza sul lavoro come metodo formativo. Senza andare alla ricerca di chi ha posto in essere tale atteggiamento, è evidente che visto cosa avviene all’estero, ove l’e-learning è utilizzato come diffuso e normale sistema di formazione professionale, scolastico e accademico, il nostro digital device non è solo tecnologico e infrastrutturale ma, forse più, culturale.

Detto questo, si deve necessariamente entrare nel merito della questione che riviste, a mio avviso, vistosi aspetti di opportunità che impattano pesantemente sulla “semplificazione” richiamata in premessa.

Tornando all’interpello n. 12 e al suo contenuto, nella risposta la commissione ha espresso il parere che, “…omissis… L’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011, che disciplina la formazione dei lavoratori, prevede l’utilizzo delle modalità di apprendimento e-Learning nel rispetto di quanto stabilito nell’Allegato I, che al punto d) stabilisce che “la verifica di apprendimento finale va effettuata in presenza. Pertanto se la formazione dei lavoratori è erogata in modalità tradizionale, in aula, non è obbligatoria la verifica finale, viceversa se la formazione dei lavoratori avviene in modalità e-learning la verifica finale diventa obbligatoria…omissis…”

Una prima incoerenza si nota nel fatto che per i due tipi di formazione si prevedono diverse modalità di verifica dell’apprendimento, inesistente per l’aula e “obbligatoria” per l’e-learning. Sarebbe interessante conoscerne il motivo visto che le 4 ore di formazione dei lavoratori è una parte del percorso complessivo che prevede a seguire una sessione di formazione “obbligatoriamente in aula” sui rischi specifici al termine della quale potrebbe legittimamente essere prevista una verifica finale in presenza dell’intero percorso formativo.

Una seconda, e ben più grave, incoerenza si deve necessariamente evidenziare allorchè il legislatore e con lui l’estensore della risposta equipara sic et simpliciter la formazione e-learning a quella in aula e addirittura ponendola in una posizione subalterna dal momento che prevede “obbligatoriamente” per l’e-learning la verifica in presenza.

Riprendendo quanto scritto da Wikipedia in merito a cosa si debba intendere per e-learning e alle sue finalità, è evidente che sia uno strumento potente di diffusione della cultura che favorisce, nel contempo, un alto risparmio dei costi della formazione ed è particolarmente adatto per le aziende con un alto numero di dipendenti e di sedi disseminate sul territorio.

Sarebbe, quindi, particolarmente adatto alla realtà italiana in questo momento di crisi.

Ma se il suo utilizzo viene subordinato all’obbligatorietà di una verifica in presenza appare evidente che aziende con migliaia di dipendenti sparsi sul territorio nazionale, ma a volte anche estero, non troveranno alcuna convenienza in questa modalità di formazione se dovranno al termine del percorso radunare i partecipanti in una o più aule per somministrare loro un questionario, raccoglierlo e verificarlo. Considerati i costi di trasferta, utilizzo delle aule, remunerazione dei docenti e commissari, mancato lavoro dei partecipanti, appare evidente che è certamente consigliabile organizzare corsi in presenza.

Accettando tale interpretazione appare evidente la volontà di dichiarare la sconfessione di fatto dell’e-learning come strumento di formazione nel campo della sicurezza sul lavoro.

A coloro che obiettano che la verifica in presenza garantisce, in primo luogo, l’identità del partecipante e, in secondo luogo, l’efficacia della formazione controbatto sostenendo che alla prima obiezione si può ovviare mediante sistemi tecnologici evoluti insiti nelle piattaforme informatiche e che, relativamente all’efficacia della formazione, la stessa non è valutabile tramite un semplice questionario di poco più di dieci domande ma può essere più realisticamente valutata al termine dell’intero percorso formativo comprensivo dei rischi specifici e direttamente sul posto di lavoro tramite forme esperienziali.

Purtroppo si continuano a ripetere errori storici dal momento che, pur aspirando a semplificare e snellire la legislazione, ad adeguarci a quanto avviene in altre realtà che utilizzano forme giuridiche e sistemi tecnologici all’avanguardia, rimaniamo ancorati a vecchi e sorpassati pregiudizi ostacolando e vietando l’utilizzo di metodologie e strumentazioni ormai correntemente e costantemente utilizzate all’estero nel campo della formazione.

Anticipando obiezioni ben note, è chiaro che le modalità di formazione e-learning possono e devono essere previste solo e nel limite di una formazione che non necessiti di attività pratiche …ma questo è un altro aspetto che potremo trattare in seguito.

È altresì chiaro che la formazione tramite e-learning richiede da parte del partecipante un rigore intellettuale che escluda qualsiasi scorciatoia nella fruizione del percorso formativo anche in considerazione del fatto che si tratta di formazione finalizzata alla tutela e conservazione della sua integrità psico-fisica.

Richiede, insomma, una maturità etica e morale del lavoratore che escluda qualsiasi forma di “furbata” nella fruizione del corso, ma questo purtroppo non lo si può escludere neanche nei corsi che prevedono la presenza in aula.

Ultima considerazione, ma non per importanza, è quella relativa al fatto che anche sull’e-learning le Regioni hanno diversi atteggiamenti emanando regolamenti differenti che prevedono e riconoscono in modo difforme le modalità di erogazione della formazione in modalità e-learning.

La domanda è: vista la caratteristica stessa dell’e-learning, che fa della delocalizzazione sul territorio un suo punto di forza e della possibilità di erogare la formazione in modalità sincrona (aule virtuali) e asincrona, che senso ha demandare alle singole regioni una regolamentazione che di fatto non ha ragione di esistere vista la possibilità che un datore di lavoro possa individuare il proprio fornitore di servizi e-learning con sede in qualsiasi regione?

Se per caso, ma solo per caso, una regione riconoscesse la validità dei corsi di pronto soccorso in modalità e-learning, il corso erogato da un provider sardo e fruito da un lavoratore lombardo può essere riconosciuto da una qualsiasi Asl lombarda?

A chi l’ardua risposta?

Francesco Naviglio

07 agosto 2014