Lettera a Pietro Ichino

Castegnato, lì 11 agosto 2008                                                       

 Prof. Pietro Ichino

Corriere della Sera

Ho letto con estremo interesse  il suo articolo dello scorso 9 agosto sul Corriere della Sera nel quale è tornato sull’argomento dell’efficienza della P.A. affrontandolo, a mio parere, in modo costruttivo e propositivo.

Costruttivo in quanto, superato il suo stupore iniziale di un anno fa determinato dal numero dei dipendenti pubblici favorevoli alle sue tesi, sostiene che la cura Brunetta, a cui ho inviato una nota alcuni giorni fa, debba dare una prospettiva immediata e concreta “facendo un’alleanza con la parte migliore dei  dipendenti pubblici, con quelli che oggi tengono in piedi la baracca “.

Propositivo quanto sostiene che “non avrebbe alcun senso oggi distinguere un approccio di destra da uno di sinistra” ma sarebbe necessario giungere urgentemente alla definizione dell’iter di due disegni di legge sulla trasparenza e valutazione del settore pubblico.

Ciononostante è mia convinzione che sia necessario fare un ulteriore salto culturale nell’affrontare le problematiche dalla PA italiana, necessità quest’ultima ripetutamente sottolineata negli ultimi decenni, ma mai soddisfatta in pieno.

Il salto culturale cui mi riferisco deve concretizzarsi in un nuovo e più efficace sistema di gestione delle risorse umane che abbandoni definitivamente gli strumenti di reclutamento mediante concorso e disegni i percorsi di carriera in base a parametri meritocratici strettamente correlati ai processi formativi e alla produttività individuale e di gruppo.

I sistemi di reclutamento e di progressione delle carriere, basati fino ad oggi su sistemi concorsuali in quanto ritenuti oggettivi e trasparenti, hanno nel tempo mortificato i talenti e le eccellenze presenti nella pubblica amministrazione in ossequio ad una ipotetica ed irrealizzabile parità tra i contendenti e trasparenza delle procedure.

Tale scelta, forse un tempo valida e giustificabile, ha precluso ai dirigenti la possibilità di avere a disposizione personale individuato sulla base di competenze e professionalità specifiche e adeguate ai compiti.

E’ stato, fino ad oggi, il trionfo della “persona sbagliata al posto sbagliato” a sua volta causa  di demotivazione in gran parte dei dipendenti pubblici e quindi di perdita di professionalità, fin anche ad essere, forse,  una delle con-cause dell’assenteismo negli uffici pubblici.

In questi mesi di polemica a seguito delle iniziative del ministro Brunetta mi ha stupito il silenzio dei diretti interessati che, a parte alcune sporadiche e rituali proteste sindacali, non hanno dimostrato interesse alla disputa sulle loro sorti quasi fossero preda di una rassegnata ed ineluttabile apatia.

Questo è il dato più sconfortante in quanto sembra dimostrare che gli oltre 3 milioni di italiani, impegnati in attività vitali per la comunità quali quelle gestite dalla PA, si disinteressino almeno in apparenza del loro futuro. Questo atteggiamento è frutto di una visione fatalistica oppure scaturisce dalla convinzione che, passata la tempesta, tutto torni come prima?

Particolarmente preoccupante è, inoltre, l’assenza dal dibattito della dirigenza pubblica che, invece,  dovrà necessariamente entrare nella progettazione sull’ammodernamento delle strutture pubbliche in quanto diretta responsabile della gestione e dei risultati in termini di efficienza ed economicità.

In alcuni casi le giustificazioni da parte della dirigenza pubblica sono la mancanza di discrezionalità e di potere nella scelta dei collaboratori e nella definizione dei processi produttivi; in parte è vero ma è anche notorio che i meccanismi mediante i quali si definiscono le progressioni di carriera dei dirigenti sono (questi si!) talmente discrezionali da non incoraggiarli a rivendicare le loro prerogative gestionali con determinazione.

Non posso, comunque, che essere preoccupato dello stato della motivazione delle risorse umane nella pubblica amministrazione se non si procederà con urgenza ed efficacia ad una profonda ristrutturazione dei metodi di gestione degli uffici pubblici che, oltre a combattere fannulloni e assenteisti, prenda in considerazione misure idonee a motivare e professionalizzare i dipendenti pubblici.

Nella lettera a Brunetta, richiamata in premessa, sottolineavo le parole di Marchionne ai propri dirigenti con cui richiamava lo spirito Ubuntu degli Zulu come esempio per la costruzione di un clima di reciproca stima e collaborazione tra i membri di un gruppo: mi sembra che la Fiat ne abbia trovato giovamento.

Ritengo ormai giunto il momento di mettere nuovamente mano ad una riforma della dirigenza pubblica che, al di là delle mere e vaghe intenzioni di inizio o fine legislatura, dia un ruolo decisivo, autonomo e scevro da alibi a coloro cui è demandata la gestione e la responsabilità degli uffici pubblici.

Naturalmente a ciò si dovrà accompagnare l’individuazione delle professionalità e delle competenze, tra cui includere adeguati valori etici e morali, che dovranno possedere i dirigenti pubblici e su cui predisporre un sistema di valutazione meritocratico finalizzato alla gestione dei percorsi di carriera.

Egregio Professore, penso che dopo lo scossone iniziale sia necessario impegnarsi a ridare autorevolezza e dignità al personale dell’amministrazione pubblica quale presupposto imprescindibile di qualsiasi riforma delle strutture pubbliche.

Su simili presupposti si troveranno d’accordo la maggioranza dei dipendenti pubblici, da lei indicati come “la parte migliore”, e che sono stanchi di venire indicati periodicamente come la sintesi dei mali italiani.

Invitandola a navigare nel mio sito (www.naviglio.org) e nel mio blog, nel caso avesse tempo e voglia di approfondire il mio pensiero, le comunico che potrà utilizzare la presente nel modo che riterrà più utile e la saluto con stima e simpatia.

Francesco Naviglio